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Allan Buckwell, la via europea all'intensivizzazione sostenibile
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Allan Buckwell, ricercatore presso lo IEEP (Institute for European Environmental Policy) e collaboratore della RISE Foundation di Franz Fischler, parla di intensivizzazione sostenibile (sustainable intensification). Secondo il professore emerito di economia agraria, nell'UE il concetto va declinato di più in termini di performance ambientale, con un vero coinvolgimento delle aziende agricole alla gestione delle risorse naturali attraverso un approccio empirico, oltre che economico.
- Da un paio d'anni uno dei concetti ricorrenti nel dibattito sulle politiche agricole europee è quello di intensivizzazione sostenibile: cos'è?
- Il mondo si trova di fronte alla sfida di nutrire due miliardi di persone in più nei prossimi venti o trent'anni. La domanda è: meglio cercare nuove terre da coltivare o rendere più produttiva la terra che già coltiviamo? La maggior parte degli osservatori concorda sul fatto che sia meglio seguire la seconda strada, perché l'altra significherebbe prosciugare zone umide e distruggere foreste, cioè un enorme danno ambientale. Ciò che dobbiamo fare nei prossimi decenni è imparare come migliorare la performance ambientale dell'agricoltura intensiva. Ecco perché parliamo di intensivizzazione sostenibile.
L'agricoltura europea è già molto intensiva. Per esempio aree come la Valle del Po in Italia sono già caratterizzate dall'impiego di sofisticati macchinari, da fertilizzanti e strumenti di difesa dai patogeni, da conoscenze e competenze molto evolute. L'agricoltura europea continuerà in questa direzione ma l'elemento critico è che dobbiamo prestare più attenzione all'impatto ambientale di tutto questo. In Europa, quindi, gli sforzi maggiori dovrebbero essere orientati al miglioramento della performance ambientale più che a un'ulteriore intensivizzazione.
- Che tipo di informazione abbiamo oggi sull'impatto delle misure ambientali in agricoltura? Sembra che a Bruxelles si prendano decisioni a partire dal tema della sostenibilità senza avere evidenze scientifiche dell'impatto di quelle decisioni…
La discussione porta verso un'attenzione all'aspetto ecologico, ma è vero che attualmente le prove e i dati a a sostegno di tutto questo non sono ancora abbastanza affidabili. E credo che coinvolgere gli agricoltori, per esempio nella raccolta dei dati, possa essere un incentivo per loro. Quanti possono misurare la quantità di materia organica dei suoli o andare a contare i vermi che ci sono nei primi 25-30 cm dei loro terreni?
Dobbiamo concepire semplici indicatori di qualità ambientale che possano guidare questo processo. E' vero, al momento siamo nelle tenebre, nel senso che anche l'ultimo dibattito sulla riforma della PAC non è stato supportato da evidenze che consentissero di appoggiare le proposte della Commissione. Per questo trovo del tutto comprensibile che molti agricoltori siano stati riluttanti ad accettarle. In ogni impresa, un manager può gestire meglio ciò che misura. Ma noi non stiamo prendendo misure sufficienti su cose come le emissioni di gas serra, la dispersione di fertilizzanti nelle acque, cosa succede alla biodiversità in azienda. Se saremo capaci di inventare strumenti semplici per misurare tutto questo, gli agricoltori saranno incentivati a gestirle. Questa è la sfida per l'intensivizzazione sostenibile in Europa.
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